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Duello all’ombra della Casanatense:
l’uomo, la macchina e il tratto che ci definisce

È giovedì 13 aprile 2023. La luce del tardo pomeriggio filtra dalle vetrate alte del Salone Monumentale della Biblioteca Casanatense, nel cuore più colto e silenzioso di Roma. Dentro, tra scaffali secolari e busti dimenticati, non si sta parlando di manoscritti. Si sta parlando di immagini. E di qualcosa che, forse, le immagini non potranno più essere.

Si intitola “Duello Uomo – Intelligenza Artificiale”. Il progetto, ideato e curato da Manlio Truscia (e da chi sennò?), nasce dalla volontà di mettere a confronto linguaggi e tempi diversi, tradizione e futuro, intuito e algoritmo. Davanti a una giuria, tre illustratori — David Orlandelli e Michela Signoracci — si misurano con la sfida più sottile e attuale della loro generazione: restare umani in un mondo che impara a disegnare senza mani.

DUELLO UOMO INTELLIGENZA ARTIFICIALE CASANATENSE 1

Non una conferenza, ma una partita

Il format, ideato da Manlio Truscia e condotto da Antonella Carlin per la 600ª puntata della trasmissione Ricreativi, ha il passo incerto e affascinante delle idee nuove. Non una conferenza, non un panel, non un talk show. Piuttosto, una sfida a tempo con regole chiare: dieci minuti per disegnare, con i soggetti scelti dal pubblico. Una tensione creativa scandita dal cronometro e dagli sguardi, dove il tavolo è diviso tra due visioni del mondo.

Da una parte, gli illustratori con il loro mestiere. Il tratto, la fatica, la ricerca. Dall’altra, le immagini prodotte dalle AI: precise, suggestive, rapide. Al centro, una domanda che è tutto tranne che accademica: chi ha ancora il diritto di immaginare?

Il valore del gesto

David Orlandelli — illustratore di lunga esperienza e formatore — parla poco, ma disegna molto. Il suo tratto racconta di anni passati a costruire figure che non hanno bisogno di spiegarsi. Guardi un suo storyboard, e capisci il ritmo di una scena.

Durante il “duello”, le sue opere vengono accostate a quelle generate dall’AI. La differenza si vede, ma soprattutto si percepisce. La macchina sa cosa vuole il brief. Ma l’uomo sa cosa può voler dire.

È il senso del gesto che non serve solo a rappresentare, ma a dubitare, a cercare, a cambiare idea. L’AI è veloce, ma non ha esitazioni. E a volte è proprio l’esitazione a rendere una linea viva.

La precisione e la perdita

Michela Signoracci, illustratrice e character designer, porta invece un’estetica più raffinata, a cavallo tra il fumetto e il layout pubblicitario. I suoi lavori hanno struttura, forza, e un occhio sempre attento all’emozione.

Nel confronto con le AI, si nota un paradosso interessante: le immagini generate sono spesso più ricche di dettagli, più “perfette”. Ma lo sono a scapito del ritmo. La scena illustrata da Signoracci vive di vuoti e pieni, di pause visive che danno respiro. L’AI riempie. Lei organizza.

Emerge così una riflessione più ampia: la precisione non è sempre un valore. Anzi. Laddove ogni cosa è al suo posto, manca spesso l’aria per l’interpretazione.

La giuria e il pubblico: cosa si valuta davvero?

A rendere la situazione più affilata è la presenza di una giuria tecnica e di un pubblico partecipe. Gianni Cara, Guido Angeletti, Mariapia Ciaghi: nomi esperti, pronti a osservare, confrontare, giudicare. Ma sulla base di cosa?

Non si tratta solo di dire “mi piace di più questa”. Si tratta di valutare l’origine del gesto, la coerenza del processo, la densità culturale dell’immagine.

È un esercizio complesso. Perché le AI sono sempre più brave a “fingere” l’autorialità. E allo stesso tempo, noi umani stiamo imparando a valutare le immagini come prodotti, non come opere.

Il vero duello, forse, non è tra uomo e macchina. Ma tra due modi di guardare.

Cosa resta dell’illustratore?

La domanda, inevitabile, si aggira tra i tavoli della Casanatense come un ospite che nessuno ha invitato ma che tutti ascoltano. Se l’AI può generare immagini bellissime in pochi secondi, che ruolo ha oggi chi disegna?

La risposta che emerge dal confronto non è difensiva, ma evolutiva. L’illustratore non è (più) solo un tecnico del segno. È un autore di senso. È colui che sceglie cosa non mostrare, che decide il tono, che imposta la dinamica. In altre parole: è colui che dà struttura all’immaginario.

In un’epoca dove tutto è possibile, diventa essenziale decidere cosa è necessario. E questa scelta non è ancora nelle corde dell’AI.

Tra liturgia e futuro

Non è casuale che tutto questo avvenga in una biblioteca storica, circondata da volumi che hanno attraversato i secoli. Il passato osserva, silenzioso, la costruzione del futuro.

In quella cornice, il duello assume un carattere quasi liturgico. Come se, tra le mani di Orlandelli e Signoracci, si stesse celebrando un passaggio di testimone. Non la fine del disegno, ma la fine dell’illusione che basti saper disegnare.

Serve visione. Serve contesto. Serve, soprattutto, consapevolezza del proprio ruolo. Il visualizer del futuro non è più solo un disegnatore. È un mediatore tra l’umano e il possibile.

Una nuova alleanza

Al termine dell’incontro, nessuno proclama vincitori. Non ci sono medaglie, né sentenze. Ma c’è un’idea che si fa strada tra i presenti: non si tratta di scegliere tra uomo e macchina, ma di ridisegnare il modo in cui lavorano insieme.

Un illustratore può usare l’AI come estensione del proprio pensiero. Può costruire un rough a mano e farlo rifinire da un modello. Può usare strumenti generativi per testare soluzioni compositive. Ma solo se conserva la responsabilità del risultato.

In altre parole: l’AI può aiutare a disegnare. Ma non può ancora scegliere cosa valga la pena disegnare.

Conclusione: il disegno come forma di pensiero

A fine serata, quando il pubblico lascia la Casanatense e le luci si abbassano, resta una sensazione precisa: non abbiamo assistito a una battaglia, ma a un rito di passaggio.

L’illustrazione, il visualizing, lo storyboard — tutto ciò che un tempo era “di mezzo” tra idea e prodotto — sta oggi diventando il centro del discorso creativo. Non perché la tecnica valga più della visione. Ma perché la tecnica, con l’AI, è accessibile a tutti. La visione no.

Chi sa pensare per immagini, chi sa costruire senso visivo, chi sa emozionare con una linea, oggi ha ancora — e forse più di prima — un ruolo da protagonista. Il disegno resta. Resta come forma, come processo, come stile di pensiero.

E mentre l’intelligenza artificiale impara a generare, noi impariamo a decidere. E questa, in fondo, è la sfida più umana di tutte.

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