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L’animatic sporco e l’AI gentile:
come sta cambiando il mestiere del visualizer

C’era una volta l’animatic. Quel collage paziente e immaginifico in cui l’illustratore pubblicitario, matita o tavoletta alla mano, dava vita alla visione del regista prima ancora che la troupe posasse un cavo. Scene statiche ma vibranti, voci provvisorie, musiche rubate a qualche disco di produzione. E soprattutto: l’arte di suggerire il movimento dove non ce n’era.

Oggi, nel 2025, un animatic può ancora avere tutto questo. Ma può anche avere di più. O forse: di meno. Meno tempo, meno budget, meno intermediazioni. Soprattutto: più AI.

Chi scrive non è un teorico della disruption né un profeta della disoccupazione digitale. È un illustratore che lavora per agenzie, registi e creativi da vent’anni, che ha disegnato più storyboard di quanti ne possa contare, e che oggi si è trovato davanti a uno strumento come Runway e ha detto: “Fammi vedere che sai fare con uno dei miei rough”.

Il risultato è l’animatic che vedete qui sopra: una serie di frame statici, nati come disegni a mano (digitalmente), trasformati in micro-movimentidilatati con delicatezzamontati con Filmora sullo spot finito. Nulla di pretenzioso. Ma tutto estremamente interessante.

Non è la qualità che sorprende. È la velocità

La prima cosa che colpisce, usando l’AI nel campo visual, non è la magia ma la meccanica. La possibilità di prendere un’immagine e farla “vivere” non è nuova: After Effects lo fa da anni, con maschere, keyframe, interpolazioni. Ma qui si tratta di un altro tipo di trasformazione. Non più tecnica, ma probabilistica.

In Runway bastano 7-8 secondi per rigenerare un movimento da una still. Il risultato non è sempre perfetto, ma è sempre utile. Perché basta a comunicare un’intenzione. A raccontare un tono. A mostrare un passo in avanti.

Nel mondo della pubblicità — dove tutto è urgenza, ipotesi, pressione — questo “basta” è già tanto. L’AI diventa un alleato silenzioso. Uno che lavora di notte al posto tuo. E che ti dà un rough animato prima ancora che tu abbia sistemato i livelli di Photoshop.

Il rough non muore: cambia pelle

C’è poi un tema più estetico. Il lavoro che presentiamo oggi non cerca di camuffarsi da animazione vera. Non ha quella patina smooth da Pixar o da videogame AAA. Al contrario: mantiene il tratto incerto, quasi incompleto, da layout. E questa è forse la chiave narrativa più potente.

L’intelligenza artificiale può accompagnare la “sporcizia” del disegno, amplificandone il carattere invece di annullarlo. In questo senso, il visualizer ha oggi un potere inedito: non deve più scegliere tra velocità e stile. Può proporre qualcosa che funziona subito, ma che rimane suo.

Questa è la frontiera che vale la pena esplorare: AI non come sostituto, ma come specchio. Non come regista, ma come stagista brillante.

Ma allora che fine fa il mestiere?

Domanda inevitabile. E legittima. Se Runway riesce a far muovere le immagini, e Midjourney a generare personaggi fotorealistici, e Sora (di OpenAI) promette video girati senza girare… cosa resta al visualizer?

Risposta breve: resta l’intelligenza narrativa.
Risposta lunga: resta tutto ciò che le AI non sanno ancora capire — e forse mai capiranno.

  • La logica dietro una sequenza.
  • Il tempo comico di una gag visiva.
  • Il taglio che suggerisce un’emozione prima della parola.
  • Il compromesso tra desiderio del regista e gusto del cliente.

L’intelligenza artificiale può generare, interpolare, correggere. Ma non può decidere cosa è necessario e cosa no. Non può tagliare con ironia. Non può anticipare la reazione di un creativo stanco in riunione.

Un futuro fatto a strati

L’animatic che abbiamo creato non è solo un test tecnico. È una prova di metodo. Un tentativo di integrare i nuovi strumenti senza abbandonare la cultura del mestiere.

Il rough è ancora disegnato da un essere umano. Il montaggio è ancora guidato da una sensibilità da editor. Ma tra queste due estremità si inserisce un terzo strato invisibile, automatico, che fa da ponte.

È lì che nasce il futuro del visualizer. In quello spazio tra gesto e automatismo. Tra pensiero e predizione.

E se volessimo farne un prodotto?

C’è un’altra riflessione interessante. Questo tipo di animatic, prodotto semi-automaticamente ma con cura, potrebbe diventare un servizio vendibile. Un’offerta nuova per agenzie che hanno bisogno di:

  • presentazioni d’impatto
  • tempi stretti
  • costi contenuti

Invece del classico PDF statico, si può consegnare una preview dinamica, semi-animata, che suggerisce il tono generale dello spot. Non è animazione. Non è layout. È un ibrido.

E come ogni ibrido, se spiegato bene, vale di più.

Conclusione: disegnare il possibile, animare il probabile

Il mestiere del visualizer è sempre stato un mestiere di frontiera. Un passo prima del regista. Un passo dopo il copy. In mezzo alla nebbia.

L’AI non cambia questa dinamica. La amplifica.

Chi saprà usare l’intelligenza artificiale come parte del processo, e non come sostituzione, avrà un vantaggio enorme. Perché potrà fare di più, con meno. Potrà convincere più in fretta. Potrà suggerire un’idea anche quando il brief è solo una mezza frase detta in riunione.

L’animatic rough animato da Runway non è il futuro del cinema.
Non è nemmeno il futuro dell’advertising.

Ma è un futuro possibile del nostro lavoro.
E questo basta per cominciare a giocarci sul serio.

di Sebastiano Onano

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